Il Made in Italy sostenibile

Apple ha recentemente rilasciato l’AirTag, un piccolo disco che può essere localizzato usando il proprio iPhone. Il prodotto è stato commercializzato come strumento per rimediare alle volte in cui ci dimentichiamo dove abbiamo messo le nostre chiavi, o dove abbiamo lasciato la macchina.

Non sorprenderà nessuno sapere che non tutti hanno usato questo device in maniera etica e rispettosa dell’altrui privacy. Per quanto Apple abbia aggiunto all’AirTag una funzione che avverte quando qualcuno ci sta seguendo senza il nostro consenso, il suono emesso non è abbastanza forte da essere davvero utile.

Kashmir Hill, una reporter di New York, ha scritto un articolo per il Times in cui raccontava i suoi test sulle applicazioni più o meno losche dell’AirTag. Ha messo vari device di tracking nella macchina e nei vestiti del marito (che aveva acconsentito a fare da cavia per l’esperimento), seguendone i movimenti per qualche giorno. La giornalista racconta di quanto si sia sentita a disagio nel controllare i movimenti del marito, per quanto lui – un avvocato – si sia limitato a spostarsi da casa all’ufficio, con l’occasionale deviazione per accompagnare i figli.

L’internet delle cose (e cioè il processo di connessione a Internet di oggetti fisici di utilizzo quotidiano) è stato uno dei principali trend degli ultimi vent’anni, e la sua portata non farà che continuare a crescere. Poter chiedere ad Alexa di spegnere la luce al posto nostro è comodo: bisogna semplicemente decidere quale prezzo siamo disposti a pagare. L’internet delle cose dà, l’internet delle cose toglie.

Il Cybersecurity Manager di Fondazione AMMI ha le competenze (tecniche ed umane) necessarie per guidare questo complesso dibattito, e orientare le future scelte manageriali e legislative.